Fine agosto, il trolley mi guarda chiuso in sé stesso, vuoto di idee e pieno di dubbi: mi riempirà? mi trascinerà? mi riporrà di nuovo giù in garage?
Vacanze difficili queste del 2020. Partire, restare… forse rimandare.
Sciolgo la riserva: si parte. Meta di prossimità… che può apparire come meta di ripiego, ma con tante bellezze paesaggistiche che ci sono in prossimità, mi va comunque di lusso.
Pochi i giorni, necessità di ottimizzare il tempo per non farsi mancare niente della vacanza di massa (eccetto la massa, ovviamente): spiaggia, escursioni, pranzi frugali, cene fuori, camminate, sudate, lotta alle zanzare, shopping in cerca di souvenir locali…
In questa vacanza però, c’è anche altro: c’è la mascherina che, quando si inspira, rinsacca in gola, mentre quando si espira, ti restituisce aria calda in faccia, che con 35 gradi di temperatura esterna, si rischia l’ustione ad ogni fiato; ci sono le file interminabili ai supermercati che ti fanno passare la voglia di un panino a pranzo perché, in attesa del tuo turno per entrare, è già bella che è arrivata l’ora di cena; ci sono le mani che bruciano all’ennesimo passaggio sotto il dispenser del disinfettante all’entrata di ogni esercizio pubblico; ci sono le mortificazioni quando, distratta a chiacchierare, fai per entrare a dare un’occhiata al negozietto piccolo e caratteristico e vieni bloccata dall’alt teutonico dei 14 in fila, di cui manco ti eri accorta, mentre i 14 ti avevano avvistata appena svoltato l’angolo e ti avevano osservata nel tuo appropinquarti, pregustando il momento di fulminarti non appena varcata la soglia del negozio.
Comunque sono in vacanza e, anche se molto condizionata, non mi va di rinunciare ai pochi giorni di leggerezza estiva che mi sono concessa.
E quale miglior modo per raggiungere lo stato di grazia della “leggerezza estiva”, se non quello di fare un’escursione in barca? Tutto è delegato al capitano, tu non devi far altro che farti portare sulle onde, far svolazzare i capelli, guardare l’orizzonte, commentare filosofica la qualunque e, soprattutto, stare lontana dagli altri passeggeri.
Vada per il giro in barca. Tre le possibilità: giro con pranzo, giro con aperitivo o giro notturno. Per la modica cifra di 30 euro, la scelta cade su quello con l’aperitivo che sembra avere i requisiti adatti: più intimo, più alla moda, più leggero.
Già mi vedo, vestita in stile casual-marino, con il bicchiere di vino in mano, aggrappata a qualche appiglio, fintamente disinvolta, che mi intrattengo a parlare con gli altri passeggeri, mentre mi godo la brezza marina e qualche tartina gourmet la cui dimensione è inversamente proporzionata alla lunghezza del nome che porta.
Arrivata sul molo indicato, non colgo il primo indizio che sarà una crociera diversa da quella immaginata: gli altri passeggeri, in pareo e bermuda, approfitteranno del giro per un tuffo a largo, nel punto dove il mare è più blu… A me, meschina, non rimane altro che l’imbarazzo di rispondere che no, io non approfitterò di questa battesimale esperienza e che mi terrò il peccato originale di non aver imparato a nuotare.
Il secondo indizio mi si presenta sotto forma di un abbronzatissimo giovine in t-shirt, pantaloncini e tatuaggi sparsi a caso sul corpo. Il giovine suddetto fa gli onori di barca offrendo il suo aiuto per salire su un’imbarcazione male in arnese, con pochi posti a sedere e con la poppa e la prua tanto vicine da poterle occupare entrambe stando distesi: è il capitano…ma anche il mozzo, il marinaio e il cameriere.
Partiamo. Il secondo indizio non mi ha ancora scoraggiata e aspetto fiduciosa il prosieguo del giro. Un prosieguo durato 3 minuti: il tempo di uscire dal parcheggio delle barche e di girare alla prima a destra, dopo lo scoglio. L’imbarcazione si ferma. Ora dell’aperitivo… E qui arriva la prova provata che il giro è un’interpretazione casareccia e alla buona degli aperitivi su yatch a largo di Capri: quadratini di pizza fredda prodotta e gentilmente offerta dalla madre del mozzo, un bicchiere di vino locale, prodotto e gentilmente offerto dal padre del marinaio e per finire, fichi selvaggi audacemente raccolti, cortesemente sbucciati e personalmente serviti dal capitano.
Il rito dell’aperitivo si protrae per un tempo indefinitamente dilatato, interrotto di tanto in tanto, dall’offerta dell’ennesimo fico e dall’avvicinarsi di gabbiani sfacciati del cui sovrappeso mi soffermo a parlare con una compagna di sventura, per ingannare il tempo.
Mentre mi avvento sul terzo fico, vedo il capitano liquidare frettolosamente il passeggero con cui si stava intrattenendo, per andare in cabina e rimettere la barca in moto. Dirige il barchino verso un dove sconosciuto per sciogliere, probabilmente, il dubbio filosofico primordiale; che ci facciamo qui? Il responso divinatorio arriva quando il motore è spento, i gabbiani tacciono e il silenzio è all’apice della suspence narrativa. Il capitano esclama: “Guardate quant’è bello e per poco non l’abbiamo perso”. Il suo sguardo e quello degli altri passeggeri è rivolto verso la palla arancione sul mare.
Non arriviamo neanche a prendere i cellulari per immortalare l’evento, che il sole annega repentinamente sotto i nostri occhi e niente possiamo fare per acchiapparlo nel nostro obiettivo.
Senza ulteriori giri di navigazione e di parole, l’escursione volge al termine. Saluto il capitano, il cameriere, il mozzo e il marinaio, uniti in un unico corpo. Senza sforzi, trovo in quel corpo anche il cassiere che, privo di qualsiasi imbarazzo, prende quanto pattuito e si avvia fiero sul suo veliero pezzotto.
A me non rimane che guardare rapita il portafoglio alleggerito di 30 euro mentre penso, veniale, che cari mi sono costati tre fichi al tramonto.
- Blog di Lady Pasticella
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