Perso! Non riconosceva niente di ciò che vedeva e non collocava niente di familiare nell’emisfero emozionale. Quando e in che punto aveva lasciato strade e pensieri noti? Un marciapiede gli offrì una seduta, concedendogli un po’ di tregua. Cercò di ricordare i suoi ultimi passi consapevoli, i suoi ultimi movimenti volontari, per individuare l’inizio della sua “perdizione”. Ormai da tempo le sue notti si consumavano con straniere, assaggiate e lasciate per accompagnare melting pot gastronomici molto alla moda. Bottiglie costose eno-esotiche, di distillati giovani e invecchiati, sicuramente buoni ma che, a una cert’ora della notte, il palato non regge più: gli argini cedono e tutto si impasta in una piena violenta che si riversa fuori al primo angolo di strada.
Ed ora, seduto sul marciapiede decise di percorrere a ritroso gli ultimi due isolati di strada e gli ultimi due anni di vita trascorsi, per ritrovare la via smarrita. Si alzò e cominciò a camminare. Dopo cinque minuti si trovò di fronte alla piccola salumeria di Ciro che, a dispetto delle sue dimensioni, era sempre stata strapiena di salumi, insaccati, formaggi e latticini dai profumi così intensi da far impennare il colesterolo non appena ne varcavi la soglia. Da piccolo e poi da adolescente, trovava sempre il modo di prendersi una pausa per una merenda da Ciro che, appena lo vedeva entrare, lo accoglieva con la battuta: “Il solito?”. Il solito era un panino con la ricotta e una sontuosa fetta di pancetta piccante. Avrebbe voluto risentirla quella battuta ma alle cinque del mattino la salumeria era chiusa.
Da tanto non entrava da Ciro. Perché aveva smesso di andarci? Pensiero retorico! Ricordava bene perché aveva smesso, ma sminuendo a pura casualità, uno degli effetti collaterali del suo ultimo agire, si alleggeriva dal peso dei rimpianti. Appoggiò la testa sulla serranda del negozio e cercò di collocare Ciro e la sua bottega nello spazio, fisico ed emotivo, per calcolare la distanza, geografica e sentimentale, da casa sua. Non era lontano: all’incrocio doveva girare a sinistra e proseguire fino alla macelleria di Ettore. Era là che sua madre lo mandava da bambino per ritirare un misterioso fagotto giallo. Da quello estraeva, con fare da strega, cicciosi pezzi rossi, per metterli in un pentola enorme che gorgogliava per ore per produrre la saporita pozione domenicale: il ragù. Ettore aveva chiuso da tempo, intristito dal tradimento di quelle mamme-streghe che l’avevano abbandonato per i grandi supermercati.
Arrivato all’angolo si fermò a guardare il viale che si apriva e scopriva di fronte a lui. Davanti ai suoi occhi scorsero veloci i fotogramma degli anni trascorsi in quei cento metri: amicizie, amori, avventure, peccati, redenzioni, fughe e ritorni. Tutto era familiare e accogliente in quel viale. Era casa sua! La furia ormonale giovanile l’aveva fatto sentire impigliato in quegli aggettivi. Poi era stato il fascino della ribellione a portarlo lontano da quei luoghi e dagli affetti che vi dimoravano. Se ne era andato due anni prima, sbattendo tutte le porte dietro di sé: quella dei suoi amici, della sua ragazza, della sua famiglia. I ricordi degli anni vissuti in quel viale erano chiari e nitidi, quelli degli ultimi due erano fumosi, imprecisi, come quelli dopo una sbornia. Come poteva recuperare i ragù persi, il panino di Ciro, i carezzevoli rimproveri della madre?
Un ricordo gli venne in aiuto. Suo padre nascondeva bottiglie di vino rosso in garage, in un vano nel pavimento coperto da un tappeto di gomma. Le nascondeva perché si era accorto che lui le prendeva di nascosto, per berle con gli amici o con le ragazze che portava a casa. Per suo padre quelle bottiglie erano sacre e non potevano essere violate con patate fritte e hamburger. Percorse il viale di corsa e raggiunse il garage di cui aveva ancora le chiavi. Tutto era come l’aveva lasciato. Anche il nascondiglio delle bottiglie del “pregiato” rosso. Ne prese una e rimise a tutto a posto. Uscì in strada e percorse gli ultimi metri che lo separavano da casa sua. Era una bellissima domenica mattina. Arrivato al portone, senza curarsi dell’ora, suonò al citofonò. Una voce svogliatamente incazzata, rispose e lui, finalmente ritrovato, disse: Sono io mamma. Ho portato il vino per il ragù. Mi apri?
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