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Gita al Vesuvio

Ritratto di Rosa Buonanno
Inviato da Rosa Buonanno il Lun, 11/11/2019 - 12:24
gita al vesuvio

Una gita al Vesuvio, per noi napoletani, è un dovere quasi religioso, che dobbiamo compiere almeno una volta prima di-partire per altri luoghi, siano essi di questa vita o di altre.
Per me, che non ci ero mai stata, era una lacuna enorme. Un vuoto nel curriculum vitae che doveva essere colmato al più presto perché, da napoletana, sentivo di essere incompiuta, come se la mia nascita nel grembo del golfo di Napoli, fosse rimasta sospesa. Solo con quel pellegrinaggio pagano avrei potuto completare il mio parto, ancorandomi alle mie radici geologiche e culturali.

Finalmente, in una calda domenica di ottobre, riesco ad andarci e, di buona lena, affronto padre Vesuvio, incamminandomi sul sentiero che porta al cratere.
Evitando la punta polemica sulle varie volte che ho dovuto mettere mano alla tasca pagando servizi di cui non ho goduto, passo immediatamente a parlare dell’aspetto spirituale ed emozionale che la visione di cotanto nero ha prodotto in me: sono stata sopraffatta. Sopraffatta dal mastodontico, opulento corpo di roccia che mi avvolgeva e mi donava la vista di una linea dell’orizzonte dove mare, nuvole, isole e continente erano un tutt’unico mozzafiato.
E lì, in un crescendo melenso di commozione e trasporto emotivo, ho considerato quanta storia, cultura, umanità era richiamata negli strati così visibilmente delineati sulle pareti del cratere.

La gita al Vesuvio è caduta, per una fortuita e opportuna coincidenza, proprio nel momento delle polemiche a proposito dell’utilizzo del nome della città con connotazione negativa, fatto da una nota marca di merendine, il cui consumo a colazione, sarebbe disturbato dall’ascolto di “musica Napoli”. Polemiche sorte perché ai napoletani, la menzione è apparsa l’ennesimo attacco contro la città e i suoi abitanti mentre, a certa pseudo intellighenzia variamente collocata sullo stivale italiano, la reazione dei napoletani è apparsa l’ennesima dimostrazione di vittimismo e di permalosità, di cui saremmo fastidiosamente affetti.

Agli occhi di alcuni influenzatori social, dimostreremmo un esagerato orgoglio, che non ci fa cogliere né l’ironia, né la sana critica con cui vengono trattare certi nostri usi e costumi. Esasperati da tutta questa nostra estremizzata identità culturale che difenderemmo con tracotanza, ci hanno pubblicamente comunicato che abbiamo rotto le p…e e ci hanno dileggiato socialmente, elencando come verità scientificamente incontrovertibili, tutti quei stereotipi che descrivono l’indole di chi nasce e vive sotto l’ombra del Vesuvio come criminale, refrattaria alle regole, superstiziosa, chiassosa, megalomane e, per l’appunto, permalosa.

In risposta a questi attacchi via social, ci sono stati interventi, sempre attraverso social, di napoletani che hanno rivendicato come valori l’orgoglio e il senso di appartenenza, replicando in maniera puntale ed efficace alle social punzecchiature nordiche. Non avendo le conoscenze e gli strumenti per entrare anch’io decorosamente nel dibattito, posso solo condividere, le emozioni, i pensieri e le riflessioni che mi hanno “invasa” durante la gita al Vesuvio.

Mentre percorrevo il sentiero per il cratere, pensavo a quanto mi sentissi a mio agio negli abiti della napoletana e di quanto questi mi consentissero di non essere mai inquadrata in dettami sociali che rendono tutti uguali. Malgrado la globalizzazione, l’appiattimento culturale e ideologico dei social media, le “bufale cibernetiche” e quant’altro miri, in maniera sistematica, a diffondere il pensiero unico-convergente, noi riusciamo ancora ad esprimere un pensiero diverso e divergente.

Pensavo che, se per alcuni, sentirsi parte della comunità significa adeguarsi ai valori che essa esprime, per noi significa condividerne i valori. Pensavo che se noi possiamo ancora orgogliosamente opporre la nostra meridionale identità culturale alla colonizzazione politica, culturale, sociale ed economica tentata dalle regioni e nazioni del nord, è proprio grazie alla sedimentazione e stratificazione che i fenomeni geo-storici hanno operato sul nostro pensare e agire. Mare, sole e Vesuvio hanno fortemente impresso la loro traccia su noi, rendendoci quelli che siamo.

Il mare, la nostra porta sul mondo. Una porta aperta che ha consentito l’approdo sulle nostre coste di quanto offriva l’umanità di altri paesi, rendendoci più ricchi di cultura, di ingegno, di creatività. Da quella stessa porta entravano però, anche nefandezze, ma è il rischio che corre chiunque si renda disponibile ad accogliere.
Il sole, che non ha solo ispirato autori di canzoni famose, ma ha anche consentito di vivere e lavorare all’aria aperta, nelle strade, nelle piazze, nei vicoli, sui balconi, nei bassi. Abbiamo steso panni per asciugarli al sole condividendo il filo con la dirimpettaia; in una giornata di sole abbiamo confidato, commentato, spettegolato con l’intero quartiere organizzando dibattiti salottieri all’aperto. Abbiamo socializzato, condiviso, solidarizzato, poetizzato, filosofeggiato, e a volte intrallazzato affari loschi, sotto la luce del sole.

Il Vesuvio, il nostro “ricordatichepotreifartimorire”, memorandum sulla fragilità dell’uomo al cospetto della natura, che, se da un lato ci ha indotti ad accettare i colpi del destino (di Dio, del caso o di come lo volete chiamare), con un atteggiamento di ineluttabile fatalità, dall’altro ci ha portato a voler godere dell’esistenza, fin a quando ci è dato di farlo.
Lo so, Napoli è una città impegnativa e non è che un’inalazione di vapori vesuviani, mi ha di colpo affumicato la mente, impedendomi di vedere i suoi tanti problemi. Il punto non è vedere il buono o il cattivo di Napoli ma rivendicare il tanto di buono e di bello della nostra città, che qualcuno si ostina a non vedere, accanendosi a sottolinearne solo il brutto.

Chiudo queste riflessioni vesuviane, inorgogliendomi del fatto che quando vado all’estero e dico la mia nazionalità, i primi simboli dell’Italia che vengono alla mente ai miei interlocutori stranieri, come pasta, pizza e ‘o sole mio, hanno a che fare con Napoli.
Quindi, voi che non avete il Vesuvio sullo sfondo della vostra vita, prendetene atto: all'estero, prima che italiani, siete percepiti come napoletani… Che poi, sta cosa a me, a ben pensarci, non fa granché piacere.

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