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Brigantessa Michelina Di Cesare

Ritratto di ntlnico
Inviato da ntlnico il Ven, 05/09/2014 - 23:43
Brigantessa Michelina Di Cesare

Michelina di Cesare, ovvero, cenni di vita di una eroica contadina del Sud, che la storia ha sconosciuto e misconosciuto.
Ho conosciuto Michelina e la sua storia non da molto e non perché ho letto di lei sui libri di testo scolastici nel capitolo sull’unificazione dell’Italia.
L’ho conosciuta guardando delle foto antiche, nelle quali una bella ragazza vestita in abiti tradizionali da contadina, portava fucile e pistola invece che una “zappa”. Quella donna fiera mi ha “intrigato” e, fortunatamente per noi immigranti digitali che dai libri siamo passati alle risorse della rete, sono riuscito a “pescare” ciò che poteva soddisfare la mia fame di saperne di più della donna delle foto. Si trattava di Michelina Di Cesare, nata il 28 Ottobre 1841 a Caspoli (Ce), nel Regno delle Due Sicilie e morta a Migliano Monte Lungo (Ce), il 30 Agosto del 1868. Per la cronaca dei vincitori piemontesi, era una brigantessa e una druda, termine questo, che può avere due significati tra loro opposti: lussuriosa e lasciva, oppure fedele e imperitura compagna. Dettagli sulla sua vita non ve ne sono molti poiché ci si è interessati a lei solo nel momento in cui da contadina è diventata, nel plot narrativo della storia, il personaggio cattivo, l’anti-eroe che si oppone e ritarda l’happy ending consolatorio e liberatorio.

Rimasta vedova a vent’anni, dopo solo un anno di matrimonio, Michelina si unì a Francesco Guerra, ex soldato borbonico che aveva rifiutato la leva nel nuovo stato italiano aggregandosi alla banda del brigante Rafaniello. Alla morte di questi, avvenuta nel 1861, Francesco divenne il capo della banda.
Michelina lo raggiunse in clandestinità, rendendo chiare le sue attitudini da capo e meritandosi le armi riservate ai capobanda: un fucile a due colpi e una pistola. Malgrado la forte repressione subita dai Briganti da parte del neo-stato italiano nel 1865, dal 1862 al 1868, la banda di Francesco e Michelina, a volte in solitaria, a volte in unione con altre bande, compì molte azioni, alcune delle quali di rara efficacia strategica. Michelina, per tornare alla protagonista della nostra storia, pare avesse un intuito particolare a prevenire gli attacchi e le imboscate e che era parte attiva nei combattimenti.

Ed ecco come la storia personale di una contadina, irrompe nella storia nazionale che ne fa una brigante, una bandita e per questo la combatte come nemica. Prima di arrivare all’epilogo, scontato, della vicenda di Michelina mi pongo e vi pongo una domanda: dobbiamo fermarci qui? Dobbiamo “fidarci” di questa versione ufficiale del fenomeno “Brigantaggio”? Mi permetto di rispondere io per tutti: No, non dobbiamo. Anzi, non possiamo fermarci qui!

La storiografia italiana ha sempre presentato i Briganti come criminali, descrivendoli come delinquenti, ladri, dediti al banditismo per interessi personali. Addirittura a Torino esiste un museo di antropologia criminale, il Cesare Lombroso, dove sono esposte teste di briganti a supporto delle testi propugnate dall’antropologo che dà il nome al museo. Lombroso infatti, misurando e analizzando crani prelevati dalle vittime delle campagne contro le popolazioni ribelli del Sud Italia, sostenne che i meridionali erano razzialmente inferiori e geneticamente criminali. Risulta inutile sottolineare che queste tesi siano state scientificamente smentite dagli studiosi in materia e che la chiusura di questo museo costituirebbe una forma di rispetto della dignità dell´uomo. Risulta invece utile spostare l’occhio di bue su altri eventi che raramente sono “illuminati” dalla luce della storia e che sono rimasti opachi per più di un secolo, volutamente sottratti all’attenzione di chi paga ancora oggi il prezzo di ciò che si è consumato 153 anni fa.

Se da un lato la veridicità delle azioni di assalto, ruberie e sequestri condotte dai Briganti è fatto storico acquisito, dall’altro, è praticamente sconosciuto ciò di cui si macchiarono le forze militari del neonato stato italiano inviate nel meridione per sedare i ribelli. Nello specifico, ai Bersaglieri fu concessa libertà di stupro e di saccheggio, di dar fuoco ai paesi con le persone ancora nelle case; a Casalduni e Pontelandolfo soldati di questo corpo militare, violentarono e uccisero sull’altare le donne che si erano rifugiate in chiesa. Il numero delle vittime della repressione nel Meridione condotta dai Savoia dopo l’unità d’Italia è ancora indefinito ma i 5212 condannati a morte, i 6564 arresti e i 54 paesi rasi al suolo possono in parte darci un’idea dell’immane prezzo pagato dal Sud all’Italia unita.

In queste cifre c’è forse la risposta ad un’altra domanda che mi pongo su Michelina: perché una donna del Sud, povera, presumibilmente analfabeta, decide di lasciare la terra e quello che riusciva a ricavare da essa, per approdare a un mondo clandestino quasi totalmente di dominio maschile, basato su rapporti gerarchici di forza e dove si rischiava la vita in ogni momento? La prospettiva di spartirsi il bottino degli assalti? Consentitemi, questa mi appare risposta troppo semplicistica. Il punto è che i Savoia imposero al Sud un’annessione che aveva tutte le caratteristiche di una colonizzazione in cui gli “indigeni” dovevano subire le decisioni politiche economiche e sociali del paese conquistatore. In pratica ai contadini del Meridione non restavano neanche le briciole e, con il controllo che signorotti locali, ex latifondisti o anche criminali di basso rango, facevano per conto dei piemontesi, si videro imporre tributi, tasse, dazi, che li strangolarono fatalmente, tanto da far decidere molti di loro a darsi alla macchia.

Torniamo ora a Michelina, che abbiamo lasciato nei boschi campani e che ritroviamo in una masseria alle pendici di Monte Morrone in compagnia di Francesco Guerra e altri due uomini. Era la notte fra il 30 e il 31 agosto. Un abitante del posto, forse abituale collaborazionista dei piemontesi o forse diventato tale solo per quella occasione, tradì la nostra eroina e i suoi compagni. Gli uomini del gruppo vennero uccisi mentre lei fu ferita e catturata.
Malgrado le sevizie e le torture subite prima di morire, non rivelò alcun nome, né informazioni riguardanti la sua banda. Il suo corpo nudo, tumefatto, fu esposto nella piazza di Mignano per scoraggiare altre ribellioni.

Di quel corpo oltraggiato esistono anche delle foto perché in quegli anni la fotografia cominciava a essere utilizzata come strumento di propaganda e i piemontesi utilizzarono quelle immagini come monito per coloro che si opponevano alla nascita della nazione italiana e anche per mostrare la forza, i mezzi di cui disponeva l’esercito “italiano” che con collaborazionisti, infiltrati, cacciatori di taglie, mercenari stranieri e spie, poteva stanare chiunque, ovunque.
L’esposizione in piazza dei corpi di questi eroici Briganti, suscitò ancor di più l’indignazione popolare e, a dispetto di quello che si aspettavano i piemontesi, la guerriglia in quelle zone riprese con più vigore di prima.

La storia ha definito Partigiani quegli uomini che durante la seconda guerra mondiale, da clandestini hanno compiuto atti di guerriglia per difendere la loro terra dagli oppressori. Michelina e i Briganti hanno tentato di fare, 80 anni prima, la stessa cosa… la storia li ha definiti Briganti.

La storia d’Italia appartiene a tutti gli italiani e per questo non può essere raccontata con omissioni se non addirittura con la mistificazione della verità storica. Non si tratta di visioni e interpretazioni condizionate da campanilismo o ideologie politiche: si tratta di fatti reali, inconfutabili, senza possibilità di smentita. A tutt’oggi siamo l’unico paese che ancora nasconde, dopo 153 anni, le brutture compiute in nome del superiore disegno politico dell’unificazione nazionale. Forse, sono proprio queste reticenze (menzogne) che alimentano l’acredine fra i due poli dello stivale perpetuando l’idea di un Nord civilizzatore, moralizzatore e benefattore e di un Sud barbaro, corrotto e arretrato.

E’ arrivato il momento di dare dignità storica ad un popolo che subisce ancora insulti dettati dall’ignoranza, indotta colpevolmente dalle istituzioni attraverso libri di testo propagandistici e attraverso la custodia di segreti che non hanno più motivo di essere. Fare luce su ciò che realmente accadde nel Meridione in seguito all’unificazione, non significa rigettare l’Italia ma al contrario potrebbe essere l’occasione per sentirci uniti tutti, legati da una stessa storia: quella VERA.
La storia vera ci racconta anche altro su cui non mi dilungherò per non “abusare” troppo dell’attenzione di chi legge.
Il web documenta ampiamente con fonti ufficiali il capitolo sulla questione meridionale per chi volesse approfondire e addentrarsi nei meandri più in ombra della storia d’Italia.

Ancora su due cose però vale la pena di porre l’attenzione. La prima si riferisce al profilo che lo storico inglese Hobsbawm, nel suo libro “I Banditi” traccia dei banditi attribuendo loro caratteristiche di “gentiluomo sociale” e una funzione socio-economica precisa liberandoli dalla connotazione negativa assegnatagli superficialmente dagli storici, di comuni delinquenti dediti alla violenza e al crimine per arricchirsi a discapito delle comunità rurali.
L’altra importante fattore di riflessione è in parte connesso al profilo tracciato da Hobsbawm. I primi nemici dei Briganti erano i signorotti locali che materialmente e direttamente opprimevano i contadini con tasse e prestazioni da sfruttamento. Attraverso questi, lo stato centrale esercitava il suo potere politico e militare sul “lontano” Sud. Non a caso le origini delle mafie organizzate nascono proprio in quel periodo, così come il sodalizio stato-mafia, argomento attualissimo nei giorni nostri.
Al popolo del sud, attaccato su due fronti e ridotto allo stremo, non rimanevano che due strade: ”O Brigante o emigrante”…ma questa è ancora un’altra storia.

" …Tu sei il sorriso di Michela
tu che non ti sei mai arresa
sei il sorriso che combatte
la retorica infinita
di chi ha invaso la tua terra
per rubare il tuo sorriso e la tua vita."

Eugenio Bennato
Finale del testo “Il sorriso di Michela” dedicato a Michelina di Cesare

Commenti

Filomena Pennacchio era un'altra Brigantessa molto diversa da Michelina Di Cesare. Filomena era di origini pugliesi, sicuramente una donna forte ma, distrutta per la morte del suo uomo il Brigante Schiavone, fucilato dai militari "italiani", rimasta sola è gravida decise di collaborare con gli invasori sabaudi tradento anche alcune delle sue amiche.

I libri di storia andrebbero riscritti in maniera più oggettiva specie riguardo la questione meridionale . Anche il brigantaggio va riletto in mado più veritiero. Penso che x il momento non ci sono speranze. Bisogna aspettare......

Come scritto nell'articolo su Michelina, bisognerebbe sdoganare, togliere il segreto di stato sull'argomento. Ammettere che in italia vi è stata una vera è propria shoha, che vi è stata una sorta di colonizzazione con annessi è connessi. Tre anni fa, in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni di stato unificato, si è persa un ottima occasione per dare dignità ai popoli del sud italia. Questa data ha però permesso a molte persone di conoscere molte delle verità, grazie anche a Pino Aprile con "Terroni", Angelo Forgione e molti altri ancora. Si sono creati movimenti, partiti, ma forse manca quella coesione che possa rendere finalmente giustizia alla storia "Vera".

Il rapporto 2014 sulla liberta' d'informazione redatto da Reporters sans frontières pone l'Italia al 49 esimo posto in questa classifica internazionale, ultima tra i paesi occidentali e dopo la Nigeria che invece si trova in 48 esima posizione.
Ciò contribuisce negativamente non poco all'immagine di un paese, agli occhi di un investitore estero e conseguentemente alla sua economia.
La domanda che mi pongo a questo punto è questa: quando un giornalista come Barisoni che nella puntata di ieri di Focus economia riduce l'omicidio di un giovane ragazzo da parte delle forze dell'ordine al problema che a "Napoli si manifesta di più contro questi delitti che quelli compiuti dalla Camorra" contribuisce a questa negativa situazione dell'Informazione in Italia?: la risposta evidentemente è Si.
Si, perchè così facendo nega le numerose manifestazioni contro il crimine e la malavita organizzata indette dalla società civile Napoletana che va dai Comitati Cittadini passando dal Clero fino ai Centri Sociali, che qui a Napoli più che altrove costruiscono socialità ; nega l'impegno di quei Giornalisti e Scrittori Napoletani da Siani a Saviano, tanto per citare i più noti, che hanno sacrificato la loro vita per denunciare ed informare a dispetto di chi come il buon Barisoni siede comodamente negli studi di una radio mentendo e sapendo di mentire scadendo così in un commento qualunquista da bar dello sport. Una farsa mediatica in una grave Tragedia.
Ecco perchè cerchiamo ancora di illuderci che possa esserci un Saviano per ogni città, ma la classifica sulla libertà di informazione quale diritto di un paese ad averne una più onesta e veritiera ci ricorda che così ancora non è.

Forse Sbaglio, certo sono di parte ma oramai incontro sempre piu' Napoletani, e non solo, che condividono questa convinzione: i Media da troppo tempo usano Napoli come grande strumento di Distrazione di Massa. La prova? fate un giro sulle cronache locali delle altre città e vediamo se gli stessi guai, tipici di tutta italia (of course), "vantano" le prime pagine, a volte per giorni, destinate invece per quelli successi a "Napoli" (premesso che per i Media Napoli si estende a dismisura quando c'è un guaio per poi ridursi al solo centro storico quando vi sono pregi!) Ricordo ancora ridendo un Titolo di qualche giorno fa: "Napoli: crolla un solaio della stazione, due feriti a Portici" . Il solaio ovviamente era a Portici (un comune a qualche km da Napoli) in una stazioncina secondaria. Ancora rido, immaginando questo kilometrico Solaio, ... per non piangere!!!

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