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Lockdaunesimo - Pensiero filosofico precario con validità a termine

Ritratto di Rosa Buonanno
Inviato da Rosa Buonanno il Gio, 25/02/2021 - 10:46
Lockdaunesimo eroiche passioni blog

Nato in un “qui” qualsiasi, in un “quando” specifico, il Lockdaunesimo è pensiero prodotto dal senso di precarietà generatosi in questo nostro ultimo vissuto. Vissuto nel quale dobbiamo adattarci a repentini cambiamenti di abitudini e stili di vita, scanditi e regolarizzati da DPCM quindicinali.

Per definirlo, potrei utilizzare un codice accademico ma tradirei l’essenza stessa di questo pensiero che, per sua formulazione e sostanza è spiritualmente e emotivamente scadente… nel senso che scade e, probabilmente, i principi su cui si basa saranno superati ancor prima che si finisca di esporli.

Se questa sua peculiarità, lo rende un obbrobrio filosofico per coloro la cui principale attività è pensare a principi universali che superano i limiti del tempo e dello spazio, per me, che penso solo per hobby, è approccio adeguato ad interpretare e definire certi modi del ragionare e dell’agire umano, in condizione di cattività ambientali.

Leggero ed effimero, il pensiero lockdaunico è una folgorazione che illumina improvvisamente cose e aspetti del vivere quotidiano che fino ad un attimo prima erano rimasti al buio. L’immondizia, una sfuriata con uscita teatrale, un sentito vaff…, la pentola sul fuoco, sono solo alcuni degli elementi pop che, pur abitando nella nostra vita, raramente erano usciti dallo sgabuzzino in cui li avevamo riposti.

In un periodo di azzeramenti e di riavvii continui del sistema però, questi elementi hanno acquisito un ruolo di peso che il Lockdaunesimo ha formalizzato in principi minimi che si traducono, senza alcuna speculazione filosofica, in atti pratici il cui valore etico si misura da quanto, materialmente, ci aiutano a portare il peso della cacca che ci è caduta addosso in questo specifico periodo storico.

Uno dei principi minimi del Lockdaunesimo è quello della "resilienza differenziata" che è quella capacità che mai avremmo pensato di avere, di adattarci alla privazione dell’aperitivo, sostituendo il nobile bicchiere di spritz con il volgare sacchetto dell’immondizia.

Diciamocelo, portare fuori l’immondizia è una di quelle incombenze da cui si tenta sempre di defilarsi. In momenti di forte stress, derivato da restrizioni della libertà personale e da paranoia da virus però, è un’occasione imperdibile di liberazione, di ossigenazione degli spazi cerebrali per il ricambio dell’aria, viziata da intossicanti pesantezze casalinghe. La socialità da aperitivo in locali alla moda, è stata sostituita dalla chiacchiera in mascherina con il vicino, in prossimità del bidone dell’umido. Ed ecco che, grazie al Lockdausesimo, viene “illuminata” la funzione terapeutica dell’immondizia che, proprio come se fossimo sul divano dello psicanalista, ci consente di portare fuori, solo quando lo decidiamo noi, le nostre scorie, differenziandole per contenuti emotivi.

Un’altra pratica che il Lockdausesimo ha formalizzato nel principio della "previdenza autocertificata" è l’uscita teatrale dopo una strategica scena madre.

Diciamocelo, quando in una discussione accesa non si hanno più argomenti o, semplicemente, si percepisce l’inutilità a prolungarla, la scena madre consente di mettere fine alla schermaglia verbale in modo onorevole. L’uscita teatrale prevede un’ultima imprecazione mentre si varca la porta che, da copione, va sbattuta. In un periodo di prolungato confinamento fisico e sociale, l’uscita di scena teatrale, anche per chi l’ha sempre esecrata, può diventare la catartica occasione per ripristinare la credibilità socio-familiare, minata da azioni e reazioni fuori misura, prodotte più da stress che da motivate ragioni. Chiavi di casa, dell’auto, il cellulare, che pure sono garanzie di riuscita della nostra performance, non servono a molto se non ci troviamo in tasca l’ultimo modello di autocertificazione.

Ecco gli epiloghi flop di una uscita teatrale non previdentemente preparata: sbatti la porta e sul pianerottolo pensi al da farsi. Magari sei in smartworking e quindi, sei in abbigliamento comodo, tuta o pigiama e, quasi sicuramente, sei senza chiavi. Che puoi fare sul pianerottolo, inadeguatamente vestito e senza chiavi, se non bussare e rientrare con la dignità sotto i piedi? Se anche fossi munito di chiavi e di cellulare ma non di autocertificazione, che puoi fare? Puoi chiamare un amico certo, ma non puoi sciorinargli le tue noiose faccende davanti ad un caffè al bar; non puoi prendere la macchina e farti un giro a vanvera parlando da solo e non puoi nemmeno farti una passeggiata calmante, perché i metri consentiti non bastano a farti smaltire neanche un decimo dell’adrenalina che ti si è accumulata. Il Lockdausesimo, con il principio della previdenza autocertificata, ci esorta a non privarci dell’uscita con scena madre quando il nostro livello di cattività emotiva ci rende socialmente antipatici, ma evoca la precauzione di depositare sotto lo zerbino, oltre alle chiavi, anche una copia dell’autocertificazione.

La "liberazione scostumata" è un altro dei principi minimi del Lockdaunesimo, Questo principio interviene da digestivo emotivo quando troppe cose moleste si “mappazzano” sullo stomaco, provocandoci quel senso acido di pienezza di cui ci liberiamo solo con un sincero “vaffa...lo” che funge da metaforico rutto.

Diciamocelo, sono tanti i “vaffa...” inespressi accumulati durante un confinamento forzato, non per forza diretti ad un interlocutore preciso. Noie quotidiane, discussioni irrisolte, senso di impotenza di fronte a variabili incontrollabili, responsabilità che ti incollano a posti e a situazioni da cui tu vorresti essere distante centinaia di chilometri, ecco i destinatari della parolaccia liberatoria. Parolaccia che ti concede di vivere una temporanea e inebriante sensazione di vittoria, mandando a fanculo la sorte avversa.

Ed eccoci arrivati al principio minimo, quello della "zuppiera primordiale" che è fulcro e, allo stesso tempo, contenitore di tutti gli altri principi. Principi di cui potremmo anche fare a meno, se riuscissimo a focalizzare, nell’economia della nostra vita, le priorità a cui dedicare i nostri sforzi, il nostro tempo e i nostri pensieri. La priorità primordiale e, oserei dire, viscerale è quella di mettere la zuppiera in tavola.

Diciamocelo, siamo sempre in affanno: rincorriamo soluzioni, siamo tallonati da scadenze, incalzati da emergenze provenienti dalla qualunque e dalla chiunque, braccati dall’ansia da prestazione, pressati dalla voce interiore che ci invita a fare presto, a fare prima, a fare meglio. In periodi di libertà recintata in zone colorate però, molti degli affanni perdono notevolmente peso, mentre le vere priorità si manifestano venendo a galla nel brodo primordiale: avere la possibilità di nutrirsi, di curarsi, di poter stare con gli affetti, di aver del tempo da riservare a ciò che ci piace, di concederci il lusso di non farci cambiare dall’occhio giudice della variegata umanità che ci gira intorno, di poter coltivare una socialità sana, pregna di comunicazione di sostanza e non di circostanza.

Si potrebbe obiettare che questo principio è eccessivamente individualista, troppo concentrato sulla cura esclusiva del proprio “orticello”. Sarebbe giusta obiezione se non fosse che il Lockdaunesimo enuncia un altro principio che riequilibra gli eccessi: "il relativismo emotivo" . Secondo questo principio tutto cambia, evolve, si trasforma e così le priorità, le emozioni, i sentimenti, gli affetti. L’evoluzione è la condizione sine qua non perché la vita continui, in natura come nei sentimenti e, per quanto possa apparire paradossale, solo “abbandonando” si “conquista”, solo “lasciando” si “perpetua”. Posizioni, idee, opinioni, relazioni, principi vanno mantenuti fino a quando non sono di ostacolo alla nostra felicità. Se non ci garantiscono più il nutrimento emotivo e affettivo di cui abbiamo bisogno, bisogna onestamente ammettere che sono “scaduti” e cercare la vita in altri luoghi.
Questo è il Lockdaunesimo… filosofia di principi effimeri con scadenza sul retro.